Come difendersi dalle protesi P.I.P.

Nel 2010 è scattato in Francia l’allarme sulle protesi al seno prodotte dalla ditta Poly Implant Prothese, meglio note come P.I.P.
A seguito di un controllo presso lo stabilimento è emerso che la maggior parte degli impianti prodotti dall’Azienda a partire dal 2001 erano stati riempiti con gel di silicone non conforme agli standard internazionali, ma ugualmente muniti di regolare marchio CE.
A partire dal 1° Aprile 2010, le protesi P.I.P. sono state ritirate dal commercio in Italia in quanto ritenute pericolose per la salute delle pazienti. Anche se non esistono prove certe di maggior rischio di tumori, sono state evidenziate maggiori probabilità di rottura e di reazioni infiammatorie.
Il Ministero della Salute, con ordinanza del 29 Dicembre 2011, ha disposto un censimento degli impianti di protesi mammarie P.I.P. effettuati nel nostro Paese.
L’ordinanza ha imposto a tutte le strutture ospedaliere e ambulatoriali, pubbliche e private, accreditate o autorizzate, di notificare all’autorità regionale di riferimento il numero di impianti effettuati, individuandoli esclusivamente attraverso la data di ciascun intervento. Le Regioni e le Province Autonome hanno quindi provveduto alla trasmissione dei dati al Ministero. 
Il Codancos e l’Associazione Articolo 32 hanno impugnato al TAR del Lazio l’ordinanza del Ministero nella parte in cui non prevede alcunchè in merito sia alle modalità di addebito degli interventi medicochirurgici, che alla rimozione o sostituzione delle protesi ed alle cure, comprese quelle di natura neuro-psicologica, alle quali dovranno sottoporsi le pazienti, da porsi a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Il TAR, con l’ordinanza n. 1553/2012 del 30 Aprile 2012, ha invitato il Ministero a modificare il provvedimento e a valutare la possibilità di estendere i principi fissati dal Servizio Sanitario Nazionale a tutte le donne che ne facciano richiesta. A detta del TAR “…l’infiammazione che tali protesi provocano e anche solo il timore dei danni alla salute che a lungo periodo le stesse protesi possono ingenerare, giustificano l’intervento del Servizio Sanitario Nazionale…”.
Il Ministero della Salute, oltre ad aver disatteso quanto statuito dal TAR, ha presentato ricorso avverso l’ordinanza n. 1553/12 al Consiglio di Stato che, tuttavia, con l’ordinanza n. 3531/12, ha ribadito la pronuncia del TAR, insistendo sulla revisione delle linee guida.
Le donne che hanno subito l’impianto delle protesi P.I.P., ignare dei rischi ,devono poter decidere liberamente se rimuoverle, anche in assenza di danni fisici o di una precisa prescrizione medica. In caso contrario, verrebbe leso il diritto alla salute, norma di rango costituzionale.
Le pazienti hanno diritto non solo alla rimozione nonchè sostituzione delle protesi P.I.P., ma anche al risarcimento di tutti i danni che ne sono derivati, comprese le spese sostenute, il danno morale, esistenziale ed alla vita di relazione.
E’ doveroso sottolineare che fra i compiti del Ministero della Salute c’è quello di vigilare sulla conformità delle protesi commercializzate in Italia, con periodici controlli e specifici esami di laboratorio. Queste verifiche, evidentemente, non sono state effettuate; le protesi P.I.P., infatti, venivano commercializzate in Italia dal 2001 e, solo nel nostro Paese, sono state impiantate in circa 4.300 donne.

Lo Studio Legale Martini Bolognini di Ancona, con l’Avv. Elena Martini e l’Avv. Cristina Bolognini, assiste le pazienti portatrici di protesi P.I.P. nell’azione di risarcimento danni.

 

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