Figlio naturale non riconosciuto dai genitori: che fare?
Il figlio naturale che non è stato riconosciuto da entrambi i genitori o da uno solo di essi, può agire in giudizio per ottenere, ai sensi degli artt. 269 c.c. e seguenti, la dichiarazione giudiziale di maternità o paternità naturale con il relativo status. Tali norme sono state ampiamente modificate dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 al fine di adeguare la materia ai principi costituzionali di uguaglianza, di tutela della prole naturale e di responsabilità per la procreazione.
L’istituto ha l’obiettivo di garantire al figlio naturale non riconosciuto il diritto ad ottenere lo status di figlio naturale, nonostante non sia sancito un obbligo giuridico dei genitori di effettuare il riconoscimento.
Il soggetto legittimato alla proposizione dell’azione di accertamento giudiziale di paternità o maternità naturale è il figlio, nei cui confronti l’azione, a norma dell’art. 270 c.c., è imprescrittibile. Se il figlio muore prima di aver iniziato l’azione, questa può essere proposta dai discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti, entro due anni dalla morte; se già iniziata, può essere proseguita dai discendenti.
Ove il soggetto sia un minore, l’azione può essere promossa nel suo interesse dal genitore che esercita la potestà di cui all’art. 316 c.c. o dal tutore, il quale, tuttavia, deve chiedere l’autorizzazione del giudice, che può anche nominare un curatore speciale (art. 273, comma 1, c.c.).
Se il minore ha compiuto i sedici anni è necessario anche il suo consenso sia per promuovere che per proseguire l’azione; in questo modo, si riconosce allo stesso la facoltà di rinunciare allo status di figlio.
Per quanto riguarda la legittimazione passiva, il codice civile prevede all’art. 276 che la domanda per la dichiarazione giudiziale deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in mancanza di lui, nei confronti dei suoi eredi, aggiungendo poi che alla domanda può contraddire chiunque abbia interesse.
Se il figlio è maggiorenne, giudice competente è il tribunale ordinario; se il figlio è minore di età, il tribunale per i minorenni, secondo la previsione dell’art. 38 disp. att. c.c., come modificato dal citato art. 68 della legge 184/1983.
Per quanto riguarda l’individuazione del tribunale per i minorenni territorialmente competente, la Corte di Cassazione con la sentenza S.U. n. 1373 del 1992 ha chiarito che la competenza territoriale va determinata secondo i principi generali e, quindi, in base alla residenza del genitore convenuto.
La Corte Costituzionale con una recente sentenza (n. 50 del 10 Febbraio 2006) ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 274 c.c., che subordinava l’esercizio dell’azione di riconoscimento giudiziale al previo esperimento di una procedura di ammissibilità che consisteva in una indagine sommaria e segreta con cui il Tribunale doveva valutare e vagliare l’esistenza di indizi tali da far apparire giustificata l’azione (ad esempio occorreva dimostrare, anche con testimoni, l’esistenza di una relazione tra l’uomo e la donna da cui era verosimile che fosse nato il figlio naturale). A seguito di tale intervento, il processo per l’accertamento della paternità è divenuto più rapido: si concede, infatti, all’interessato la possibilità di citare immediatamente in giudizio il presunto genitore per vedersi riconosciuto lo status di figlio naturale.
La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo.
Per quanto riguarda la maternità, ai sensi dell’art. 269, comma 3, c.c., la prova è raggiunta quando sia dimostrata l’identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna che si assume essere madre. Anche la prova della paternità non incontra particolari limiti, fatta eccezione per quello previsto dall’art.269, comma 4, c.c. secondo cui la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre ed il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della filiazione.
Nel quadro dei possibili elementi probatori, fondamentali sono le analisi ematologiche e genetiche (esame del DNA) attesa la completa attendibilità che hanno ormai assunto.
Questi particolari mezzi di prova presuppongono la disponibilità del presunto genitore; non è, infatti, consentita (art. 118 c.p.c) l’esecuzione coattiva dell’esame e dell’ispezione sulla persona che non voglia sottoporsi agli accertamenti. Il giudice, tuttavia, ex art. 116 c.p.c., può trarre argomento di prova dal rifiuto e attribuirgli il valore di grave indizio, tale da poter fondare da solo l’accoglimento della domanda.
L’Avv. Elena Martini e l’Avv. Cristina Bolognini, con studio legale sito in Ancona, sono disponibili a presentare ricorsi per la dichiarazione giudiziale della paternità e maternità e a domiciliazioni presso il Tribunale di Ancona e al Tribunale per i Minorenni delle Marche.